RIFLESSIONI SPARSE

Pordenone

Ho preparato questo intervento con l’idea di stimolare una forma riflessione/dibattito interno, sfruttando anche il fatto che questo nuovo strumento elettronico dovrebbe facilitare le interazioni.

Itaca ha avuto uno sviluppo economico e dimensionale notevole e in tempi rapidi. Nel corso degli ultimi anni, l’organizzazione è stata modificata con l’intento di rispondere a necessità di natura tecnico-professionale senza troppo sacrificare partecipazione e democrazia interna. Ci si è riusciti? La mia sensazione è che sì, ci si è riusciti, ma se ne può discutere.

Molto, in particolare, dipende da come uno vuole declinare il significato del termine democrazia, partendo dal presupposto che si tratta di un termine troppo generico e non definibile in modo univoco. Non sapendo come declinarlo, propongo lo stralcio di un articolo di Norberto Bobbio del 1958 sui Princìpi della Democrazia:

“Quando parliamo di democrazia, non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita.

Nella democrazia siamo impegnati non soltanto come cittadini aventi certi diritti e certi doveri, ma anche come uomini che debbono ispirarsi a un certo modo di vivere e di comportarsi con se stessi e con gli altri.

(…) Una democrazia ha bisogno, certo, di istituzioni adatte, ma non vive se queste istituzioni non sono alimentate da saldi principi. Là dove i principi che hanno ispirato le istituzioni perdono vigore negli animi, anche le istituzioni decadono, diventano, prima, vuoti scheletri, e rischiano poi al primo urto di finire in polvere.

(…) Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell´umanità. Oggi non crediamo, come credevano i liberali, i democratici, i socialisti al principio del secolo, che la democrazia sia un cammino fatale. Io appartengo alla generazione che ha appreso dalla Resistenza europea qual somma di sofferenze sia stata necessaria per restituire l´Europa alla vita civile. La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti.

Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme. 

 

La cosa di cui abbiamo bisogno oggi, forse, è una “tensione verso”, prima ancora che di una nuova architettura istituzionale. La tensione, del resto, non ci può essere se non c’è consapevolezza e partecipazione dei soci.

C’è, a proposito di architettura istituzionale, una partita ancora aperta che riguarda gli organismi di governance. Questo è un tema su cui il Consiglio di amministrazione nei prossimi mesi dovrà esprimersi. A tal proposito vorrei evidenziare la forte incongruenza tra il carico di responsabilità del Presidente e la scarsa competenza/esperienza politico-amministrativa dei consiglieri di amministrazione: la sua base elettiva. Penso non sia di scandalo affermare che la Direzione oggi assume un ruolo centrale e di maggior peso rispetto al Cda stesso (senza voler dire che sia cosa buona o meno, ma con l’intento di evidenziare una palese contraddizione). Di qui un po’ di interrogativi.

Corriamo il rischio di creare un sistema tecnocratico? Come si possono sposare le necessità per la guida di una azienda che fattura 36.000.000 di Euro e la necessità di declinare una qualche forma di partecipazione democratica?

Non possiamo ignorare il fatto che l’elevato dimensionamento ci ha permesso di assorbire meglio l’urto della crisi economica, oltre che salvaguardare posti di lavoro con operazioni di mutualità interna. Quale forma di cooperazione, dunque, è possibile con questo tipo di dimensionamento? Quanti sono i soci che vogliono essere protagonisti? Quanti sono disposti a metterci del tempo proprio extralavorativo?

Uno dei compiti del Cda è stimolare la partecipazione: fino a che punto? Per poter comunicare si deve essere almeno in due.

Il substrato culturale che reggeva il significato stesso della parola “lavoro” è andato in frantumi. La gran parte dei lavoratori (anche tra i soci) intende il lavoro esclusivamente come una necessità reddituale per far fronte alle necessità di consumo socialmente diffuse. Qual è il nostro orizzonte ideologico e quali sono i passi concreti che possiamo fare per indirizzarci nella conseguente direzione? Quale ruolo attivo possono avere i soci anche al di fuori del Cda? Ci sono soci interessati?

Come si vede le questioni sono molte e molto complesse. Non mi aspetto delle risposte puntuali sui temi posti, anche perché hanno necessità di un percorso di costruzione, confronto e condivisione. Mi interessa però cogliere un primo grado di ricettività che la presentazione di questi temi può suscitare. Vediamo…

 

Daniele Franco

Un pensiero su “RIFLESSIONI SPARSE

  1. inefetti, più si diventa si và in alto e meno si vede il basso!
    Questo può diventare un problema, soprattutto su una cooperativa dove esistono dei soci ai quali si deve rispondere, mai dimenticare da dove si proviene e di chi si hai bisogno per “vivere” , molte risposte si possono avere ascoltando chi vive costantemente con le società, evitare di perdere i contatti con l’esterno, altrimenti succede come i politici di oggi, non riescono ad avere un contatto con la realtà di cui vive ogni singoli indivduo, scendere in basso ed acoltare, ascoltare ed ascoltare ….

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